giovedì, settembre 21, 2006

Elli, la ragazza cresciuta con gli enzimi per le lenti

“Ero piccolina. Avrò avuto sedici, diciassette anni al massimo”, dice Elli, raccontando una delle sue prime visite oculistiche. La miopia cominciava a farsi sentire e il medico decise che era il caso di farle indossare le lenti. Fu gentile e durante la visita le spiegò con dovizia come prendersene cura. Fece un lungo elenco di prodotti e la giovane ascoltò attenta, solo forse un po’ emozionata come prima di un esame. Alla fine il medico fu convinto che tutto fosse chiaro ed Elli annuì: tutto sarebbe stato fatto come si doveva.

Un anno dopo l’adolescente un po’ cresciuta torna dall’oculista per un controllo di routine. L’esito della visita è positivo. La miopia si è fermata e non ci sono ulteriori problemi all’orizzonte. “Però – lamenta il medico – le tue lenti sono sporchissime”. Non le hai pulite?”, chiede. “Certo”, risponde Elli, elencando con dovizia tutta la procedura ripetuta tante e tante volte.

“Ma gli enzimi?”, incalza ancora l’oculista. “Gli ho presi regolarmente tutti i mesi”, risponde Elli, un po’ seccata. Solo dallo sguardo terrorizzato del medico la ragazza capì che quelle piccole pastiglie dal gustoso sapore di varechina e uovo marcio erano agenti per la pulizia delle lenti.... “Io – spiega oggi Elli, protestando la sua innocenza di allora – credevo che fossero enzimi per abituare gli occhi alle lenti ed evitare che le rigettassero”.

Lo spiacevole imprevisto fortunatamente non ha avuto danni gravi. La ragazza è cresciuta sana, forte e piena di ottimismo. E’ anche andata all’Università, dove all’orale di Analisi I completò spigliata tutto l’esercizio commissionatole dal professore. Soddisfatta e un po’ orgogliosa terminò la sua opera scrivendo nella lavagna radice di nove. “Quindi?”, chiese pacato il docente. “Oddio”, pensò lei con le spalle al muro. “Quindi, due per radice di tre... ah, no, scusi, tre per radice di due”.

Allora fu un diciotto (dice lei). Oggi è un ingegnere. Anche se non ne è sicura e nella carta di identità si è fatta scrivere “ricercatrice”. “Perché – ha spiegato all’impiegata dell’anagrafe – sono ancora alla ricerca della mia strada”.

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