lunedì, febbraio 11, 2008

L’ufficio qualunque del cacciatore di stelle

FinestraUno sguardo al monitor per controllare l'ultima posa del satellite e poi uno sguardo alle mappe del cosmo già noto. Gli occhi fanno avanti e indietro nervosamente alla ricerca del dettaglio che può far pensare a qualcosa di nuovo: una supernova, un ammasso globulare o forse solo un banale oggetto del sistema solare. Non importa, almeno nel primo momento, nell’estasi dell’avvistamento. Le rare volte in cui il satellite cattura una macchia estranea alle carte, l'astrofilo dilettante trova l’anelato sollievo dalla sua vaga, malcelata e mal espressa tristezza di vivere. Se quella macchia si rivelasse una supernova, il suo nome resterebbe impresso negli archivi internazionali contenenti l'anagrafica di tutti i corpi dell'universo e dei loro scopritori.

La caccia alle stelle diventa uno spettacolo pubblico d'estate – quando gli anelli di Saturno rappresentano una bucolica alternativa al tedio dell'umidità cittadina -, ma è d'inverno quando il freddo depura l'atmosfera che si catturano le prede più pregiate. E' allora che l'astrofilo si concentra sugli astri. Nella sua scientifica ascesi al cielo avvolge mani e piedi in abiti caldi, per ridurre al minimo le interferenze del fisico; poi, con la mente libera sintonizza lo sguardo sulle deboli radiazioni luminose che provengono dallo spazio tridimensionale. I segnali arrivano deboli: nel passaggio dai vuoti siderali alle umane percezioni i colori si perdono, trascurati da occhi abituati a stimoli più prossimi, più forti, più significanti: gli abbaglianti di un'auto, il lampeggio di un led, il neon di un'insegna pubblicitaria.

Nell’ascesi dell’astrofilo c'è un dramma inevitabile. Nella gara tra lui e il cosmo, il cosmo vince sempre. Vince perché può attendere: lo spazio può rimanere muto per milioni di anni, mentre l’astrofilo può rimanere vigile solo qualche decennio. Si hanno solo pochi istanti per trovare una risposta che può attendere secoli. Lotta impari, persa in partenza. Lotta solitaria, ignota ai più. Lotta “inutile” perché anche nella battaglia con l’infinito trovano spazio le piccole alienazioni quotidiane. Nessuna supernova catturata di notte riesce a rompere davvero la noia del giorno passato e del giorno a seguire.

Gli occhi dell'astrofilo continuano a fare nervosamente avanti e indietro tra il monitor e le mappe, ma attorno loro prendono forma solo pensieri terreni con le forme ordinarie dei quattro muri di un ufficio qualunque.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

E se non basta una supernova ..."a rompere davvero la noia del giorno passato e del giorno a seguire" potrebbe essere sufficiente un immagianario utopico?

silviomini ha detto...

Ne costruiamo uno più o meno consistente a ogni passo in Appennino.

E' un aiuto formidabile. Capita però di legarsi a quell'utopia così profondamente da volerla rendere più vera. A quel punto il giorno prima e il giorno dopo, se vissuti nel loro impertubabile fluire, diventano ancora più uggiosi da sopportare di qunto lo erano prima.

Si decide allora di cambiarli e a quel punto, nel bene e anche nel male, anche tutto il resto si ridefinisce.

Anonimo ha detto...

Aiutami a capire di che utopia si tratta? Ha le sembianze di un medicinale antidrepressivo? Oppure ha le forme delle idee che nascono dal confronto con altre individualità? In questo caso non sarebbe male discettare su come si forma l'immaginario, come si rappresenta e come diventa desiderabile.

Anonimo ha detto...

thanks for not showing my thoughts of that night!

enrizla

silviomini ha detto...

Fortunamente tra le poche afflizioni che ho, non c'è la depressione, quindi caro "anarres", possiamo lasciare da parte le utopie antidepressive per discutere invece di immaginari non medicalizzati e della loro genesi, sia essa sotto forma di dialogo oppure no.

A questo proposito, credo che in Appennino trovi l'immaginario trovi terreno fertile perché ha a disposizione dei vuoti in cui inserirsi.

Mi spiego. Il paesaggio di Campigna, Sassello o Pianbaruzzoli non è connotato fortemente: manca l'elemento ovvio e di richiamo, come possono essere altrove le Tre cime di Lavaredo o il campanile di Giotto. In un contesto simile - vagamente anonimo, fisicamente spopolato e pèrivo di stimoli tecnologici -, puoi trovarti a tuo agio solo se sei in grado di produrre contenuti tuoi: possono essere i piccoli rituali artiginali per la sopravvivenza (fare legna, carne ai ferri o acqua alla fontana), o i fiumi di parole che produci in cammino o di sera nell'atesa del sonno.

Queste ultime sono materie pregiate e indubbiamente una sorgente privilegiata di immaginario. Non credi?