venerdì, ottobre 10, 2008

Dieci anni dopo qualcosa

Eccomi qua esattamente dieci anni dopo. Non ricordo esattamente dopo cosa, ma era un po’ che pensavo di aprire un racconto con questa formula, molto letteraria, e infine ho deciso di farlo. Lo faccio con la certezza che scrivere queste parole mi aiuti a trovare quel qualcosa successo nel passato a cui penso sempre senza riuscire mai a metterlo a fuoco del tutto. Avete presente quando il maestro, lo psicanalista o l’amico giornalista vi invitano a scrivere qualcosa per rendervelo più chiaro? Ecco io sto facendo esattamente questo e, anzi, un po’ di più: sto scrivendo sperando di leggere quello che non sono mai riuscito a pensare. Pretenzioso, ma in fondo sempre meno di quelli che addirittura pensano di poter creare cose con le parole. Un certo Austen deve averlo elucubrato in uno di quei saggi destinati ad allungare di un semestre la vita da studente di un individuo.

Comunque non divaghiamo. Qualche certezza c’è. Sono certo che qualcosa sia andato storto con la mia propensione a pretendere. Voglio dire: mi ripropongo sempre di pretendere di più, ma all’atto pratico provo sempre un profondo senso di colpa che mi impedisce di farlo. Perché scopro sempre di aver chiesto un po’ di meno, aver appunto preteso un po’ di meno, di chi mi cammina al fianco?

Non è un’incapacità di fondo, ne sono sicuro
. In Australia pretendevo con sublime naturalezza e spietata efficacia. Alla fine di ogni mia giornata la manina si allungava e come una prostituta pretendeva il suo tributo in salario: bei dollaroni verdi, pesanti e immediati. No, decisamente, non è qualcosa di cui sono privo alla base. Lo spirito di pretesa c’è. La mia testa infatti si lamenta spesso con me la sera perché, a suo parere, avrei preteso troppo da lei durante il giorno.

Comunque, lo ripeto, non divaghiamo su queste facezie intimiste. Torniamo al punto. Se la mia propensione a non pretendere non è qualcosa di innato, deve essere qualcosa altro. Qualcosa di molto lontano, ma non fisico: una sorta di peccato originale, così primitivo da essere dato per scontato. Spremendo le meningi nella stesura di questi quattro stupidi paragrafi spero di riuscire finalmente a fare luce su quel peccato primo. Che poi potrebbe essere anche qualcosa che non ho mai commesso, ma di cui mi sento in colpa. Ecco, ecco, ci sono. E’ questo il senso, intendo dire il senso di colpa. Mi sento in colpa per qualcosa. Ma cosa?

Proprio scrivendo, mi viene da dire che mi sento in colpa per il troppo scrivere
. Io dai monti con la penna (pardon con la tastiera in mano)! Si è visto mai? Sì si è visto, lo vedo tutti i giorni riflesso nello schermo del mio pc, ma non ci ho ancora fatto l’abitudine. Continua a risultarmi un’eccentricità inspiegabile da espiare con fatiche d’altro genere. Mi sembra un privilegio ottenuto per bontà altrui e mai del tutto meritato. Insomma, so che per mangiare qualcuno deve coltivare la terra, che per viaggiare qualcuno deve costruire le auto, che per comunicare a distanza qualcuno deve piantare dei pali e tirare dei fili. So che c’è qualcuno che fa tutto questo e io me ne sento un po’ in colpa. Avrei dovuto essere uno di loro e invece mi sono appollaiato più in alto: sono quello che mangia a sazietà, viaggia con frequenza e irradia messaggi a tutto il globo senza contribuire a nessuna fase del processo. Io sto lassù solo per cucinare parole e, in qualche sporadica occasione, riuscire a impastare una storia con gli ingredienti nella giusta dose. E’ un lavoro da nobile e tra ho nobili ho sempre pensato che certe cose fossero inopportune, specie per me che ero un intruso. Ecco perché dopo due ore di penna e tastiera non riesco a essere pretenzioso come dopo due ore di pala e cazzuola. Mi capite?

Non pretendo che lo facciate. Oggi anzi i più mi dicono che i nobili non esistono più: o meglio ce ne sono alcuni sopravvissuti a tutte le rivoluzioni ma sono solo borghesi più ricchi di degli altri. Sto tentando di convincermi di questo da tempo. Almeno da quando ho iniziato a scrivere tanto: devono essere almeno dieci anni...

1 commento:

Anonimo ha detto...

se più gente avesse questo tipo di preoccupazioni credo che il mondo sarebbe un posto migliore. Non preoccuparti e getta alle ortiche il sentimento di colpevolezza. Fai bene iltuo lavoro, sei scrupoloso, basta e avanza. Credi che fabbricare prodotti superflui e inquinanti, o armi,o essere un broker, o un avvocato canaglia ti farebbe sentir meglio?
sii tranquillo ed esigi il dovuto, senza remore, come in Australia. Amare ciò che si fa è un bene, per tutti, e vuol dire che lo si merita. Stop ai sensi di colpa, ok?